Il saluto romano è reato solo se c’è pericolo fascista: il verdetto della Cassazione

Lascia molta perplessità il verdetto della Cassazione sul saluto romano: “nessun reato se è commemorativo”.

Evocativo ma non illecito. Il solo braccio teso nel saluto romano non rappresenta una violazione della legge, dicono i giudici della Cassazione a sezioni unite, con una sentenza che punta a separare la commemorazione dall’apologia, le (frequenti) sceneggiate
nostalgiche dalla pianificazione concreta della ricostituzione del partito fascista. Si doveva decidere se otto persone con il braccio teso a simulare il saluto fascista (così come erano
state perseguite dai magistrati di Milano) fossero responsabili della violazione della legge
Mancino, ossia avessero colpevolmente istigato all’odio e alla discriminazione. I giudici hanno detto no: quelle persone avevano messo in scena un rito commemorativo e dunque, in astratto, privo di conseguenze per la comunità e per la democrazia. Non solo. Secondo i supremi giudici anche l’applicazione dell’altra norma vigente in materia, la legge Scelba che
individua nell’apologia fascista un reato, deve essere calata nella realtà e applicata solo in
quei casi nei quali «si concretizzi un pericolo reale per la Repubblica».

Il caso preso in esame riguardava un processo contro giovani di estrema destra che si erano riuniti per ricordare Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, vittime
dell’antifascismo militante in epoche differenti. La decisione della Cassazione sembra spianare la strada al loro proscioglimento, ma anche alla revisione di innumerevoli processi
nei quali il saluto fascista era stato perseguito come reato contro lo Stato.

L’inchiesta aperta dalla Procura di Roma dovrà analizzarne i contorni. E stabilire quali fossero davvero le intenzioni dei militanti identificati dalla
Digos per l’occasione. Ma qui la massiccia presenza numerica potrebbe fare la differenza e
dunque potrebbe scattare una contestazione di violazione della legge Scelba.
«Sentenza garantista di libertà e di tutela dell’espressione delle proprie idee», commenta l’avvocato Domenico Di Tullio. All’ovvia esultanza dei difensori si aggiunge CasaPound: «É una vittoria che finalmente mette fine a una serie di accuse senza senso con
buona pace di chi invoca condanne e sentenze esemplari».
La pronuncia non scontenta Anpi che, attraverso il suo legale Emilio Ricci, fa sapere: «Si
distinguono così i saluti romani come espressione individuale da quelli di carattere generale con più persone che richiamano segni e rituali di tipo fascista interpretabili come ricostituzione del partito fascista». «La sentenza si commenta da sola», afferma il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che, nei giorni scorsi, dopo le proteste per il «raduno» di Acca Larenzia aveva invitato ad attendere la Cassazione. Immediata la replica di Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra che parla di «commento con un certo sprezzo» e aggiunge: «La Russa proprio non riesce ad assumere il linguaggio e la postura che il suo ruolo impone». Controreplica Tommaso Foti, il capogruppo di FdI: «La frase attribuita al presidente del Senato La Russa lungi dall’essere “sprezzante” è semmai di rispettoso riconoscimento”». Lapidario Carlo Calenda: «Il problema non è il fatto che in Italia ci siano dei fascisti perché ci sono in tutti i Paesi; penso che il vero problema sia culturale, a partire dalle scuole».

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