PERCHÉ OGGI SIAMO TUTTI FANTOZZI SENZA RENDERCENE CONTO

Il 3 luglio scorso ricorrevano i quattro anni dalla morte di Paolo Villaggio, inventore e interprete di una straordinaria maschera ribelle: il ragionier Ugo Fantozzi. Nell’immaginario collettivo italiano la maschera di Fantozzi rappresenta alla perfezione il ruolo dello sfruttato: ma fa riferimento a un passato lontano o a una condizione che ci riguarda molto da vicino? Siamo sicuri di avere capito il significato che quei film avevano per gli spettatori di allora? E qual è l’eredità di quelle storie per gli spettatori millenials di oggi?

Ugo Fantozzi è un personaggio drammatico, un simbolo di umiliazione che si fa inconsapevolmente portavoce di una critica sociale dura e radicale verso (i vertici di) una società piramidale, e verso gli stessi colleghi di lavoro che alimentano questo sistema, metafora grottesca di un mondo che fa di tutto per tentare la scalata.

Fantozzi innanzitutto, pur essendo vicino alla base della piramide sociale, non è un operaio, è un impiegato e come tale interpreta perfettamente il desiderio piccolo-borghese del ceto medio impiegatizio di voler assomigliare a chi occupava i gradini superiori nella scala sociale. Questo desiderio nel suo caso viene ripetutamente negato dai superiori e dai colleghi, che dimostrano una capacità di adattamento molto migliore della sua. Nonostante questa ripetuta mancanza di soddisfazione, non è indotto quasi mai a ribellarsi a un sistema che lo opprime, ma soffre in silenzio, tenta e ritenta di uscire da una condizione di reietto in cui fatalmente ricade.

I film sono dunque una serie quasi ripetitiva di umiliazioni subite senza risposta, di un perenne senso d’inadeguatezza verso i modelli di riferimento a cui comunque vuole soggiacere.

Un esempio perfetto è la sveglia: il tentativo di riguadagnare tempo dal lavoro viene fatto a rischio della vita

Fantozzi è da un lato una critica limpida all’arroganza della burocrazia fordista e dall’altro dimostra in modo semplice e implacabile l’evidenza della subalternità culturale dello sfruttato, la sua partecipazione attiva alle occasioni di umiliazione, vista l’assenza di alternative. Lo sfruttato non può reagire perché ha introiettato in pieno i sogni e gli ideali che lo sfruttatore gli mette a disposizione. Fantozzi è un desiderio eterodiretto e masochista, non riesce a far altro che sognare esperienze che lo faranno soffrire, vedendo riprodursi i suoi fallimenti.

Tutti insomma consideravano lo sfruttamento verso Fantozzi inaccettabile, nessuno si sarebbe mai “identificato positivamente” con quell’immagine, ma quella storia poteva fungere da strumento di consapevolezza e da spinta verso la liberazione. Un incentivo a prendere definitivamente le distanze da una gerarchia opprimente, e soprattutto da una corsa alla carriera che creava figure mostruose, vedi i colleghi. In generale si denunciava la condizione disumanizzata in cui lo sviluppo capitalistico stava lasciando una buona parte della società[1].

“Fantozzi subisce ancora”? perché Fantozzi siamo noi e non ce ne rendiamo più conto

Dunque Fantozzi, se calato in quegli anni di duro conflitto sociale, rappresentava una miccia incendiaria in grado di contribuire a spingere tanti (che non si erano organizzati o che stavano per farlo) a lottare per ottenere condizioni migliori di lavoro e di vita.

L’incapacità di “soffrire con Fantozzi”, di capire che è uno di noi, non fa altro che rivelare la condizione diffusa di una generazione che accetta (quasi) tutto pur di sopravvivere in un universo che svaluta completamente la sua dignità. Siamo arrivati infatti ad un livello di subalternità e di partecipazione al nostro stesso sfruttamento che non ci consente più nemmeno di immaginare un’alternativa, di sognare una vita migliore, più giusta. Tutto quello che solo pochi decenni fa sarebbe sembrato estremo e inaccettabile a molti, oggi è realtà quotidiana indiscutibile, naturale.

Paolo Villaggio candidandosi alle elezioni del 1987 con “Democrazia Proletaria”. Sebbene in sé dica poco sul significato della maschera di Fantozzi, è comunque un’ulteriore dimostrazione della forte passione politica dell’autore/attore, che arriva ad esporsi pubblicamente.

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